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Il laboratorio della vertenza ex Gkn

Di Francesca Gabbriellini e Lorenzo Feltrin

Dagli scioperi per tutelarsi dal Covid-19 ai climate strike contro il caldo nei luoghi di lavoro, abbiamo visto un’attualizzazione di quelle importanti esperienze di “ambientalismo operaio” che, già nell’Italia del Lungo ’68, si radicavano non in astratti ideali di conservazione della natura ma nell’urgenza – innanzitutto materiale – di migliorare le condizioni di vita sul territorio oltre che nei luoghi di lavoro. L’esperienza ex Gkn è stata in Italia e in Europa emblematica della lotta per spezzare il ricatto tra lavoro e ambiente, fino ai suoi epigoni più radicali. È però inutile nascondere l’attuale preminenza di un “negazionismo operaio” che assembla elementi nazionalisti e patriarcali della classe al progetto, portato avanti dalle nuove destre, di un capitalismo libero dalla maschera verde, lacciuolo divenuto troppo ingombrante. Se la politica economica della presidenza Biden poteva essere caratterizzata come piano “verde” del capitale1, quello del governo Trump-Musk è il piano “bianco” – suprematista – del capitale, che esce dagli accordi di Parigi mentre prepara la pulizia etnica a Gaza.

Nella retorica della “transizione ecologica dall’alto”, i lavoratori e le lavoratrici devono acconsentire alle ristrutturazioni in nome di una presunta sostenibilità, accettando così la mera logica del profitto, che non cammina di pari passo alla tutela di un reddito stabile e alla diminuzione delle emissioni di CO₂. Laddove invece la classe lavoratrice riesce a contrapporre una visione altra del processo di riconversione e conquistare uno spazio di protagonismo per ridisegnarne la traiettoria, si delineano i contorni di una “transizione ecologica dal basso”2, in cui avanzano simultaneamente sia gli interessi della classe lavoratrice, sia la sostenibilità. Il capitale si disfa allora degli orpelli smart per decretare senza mezzi termini che la “sua” transizione ecologica era una farsa e che determinati segmenti della classe, destinati senz’altro ad allargarsi, devono rassegnarsi a passare da una catastrofe all’altra. In questa congiuntura, è necessario rafforzare i contropoteri della rigidità di classe contro la flessibilità richiesta dal mercato, tessendo connessioni tra le lotte di diversi segmenti della working class.

Ma quali forze possono farsi portatrici di un compito talmente arduo? Per rispondere, è utile considerare le configurazioni di interessi e di potere nella composizione di classe mondiale. Da una parte, hanno più interesse a contrastare la crisi ecologica coloro che ne subiscono di più gli impatti e che ricevono meno benefici dal business as usual, come i contadini espropriati delle proprie fonti di sussistenza a colpi di siccità e alluvioni. Dall’altra parte, coloro che hanno più potere sono i lavoratori dei settori cosiddetti hard-to-abate. Ci sarebbe bisogno di costruire coalizioni tra questi poli della working class per generare gli ampi movimenti necessari a rendere la rigidità di classe un contropotere efficace. Tuttavia, la teoria e le buone intenzioni non bastano. Quando si tratta di misurare la volontà e la possibilità di sfidare un intero sistema, interessi e rapporti di potere si scoprono spesse volte inversamente proporzionali. L’oggettiva frammentazione della classe fa sì che le opportunità per costruire alleanze tendano a emergere in situazioni di crisi, quando e dove le strutture che separano diversi segmenti della working class diventano temporaneamente fluide, lasciando intravedere le potenzialità di uno slancio ricompositivo.

Un elemento tuttora utile dell’operaismo è il principio secondo cui diverse composizioni di classe necessitano di diverse forme organizzative. Non c’è quindi una formula universale, già pronta per essere applicata a ogni contesto. Parafrasando un vecchio motto: rigidità alla classe, flessibilità all’organizzazione. Come argomentato da Rodrigo Nunes, il principio della flessibilità va applicato anche alle articolazioni tra elementi di orizzontalità e verticalità delle forme organizzative. Ma il contributo di Nunes forse più interessante è il considerare ogni organizzazione come operante in un’ecologia di organizzazioni; una pluralità organizzativa inaggirabile anche all’interno della stessa classe lavoratrice. Per la forza lavoro direttamente e stabilmente assunta dalle aziende ad alta intensità di capitale, i sindacati tradizionali sono in genere ancora lo strumento più utilizzato. Tuttavia, più ci si sposta verso i segmenti più precari della classe lavoratrice e più il sindacato si scontra con una generale impreparazione a rappresentare una forza lavoro contrattualmente frammentata e fisicamente dispersa. I diversi segmenti della popolazione eccedente adottano così una varietà di forme organizzative oltre la rappresentanza “storica”: sindacati di base, organizzazioni legate ai movimenti sociali, associazioni di quartiere, ecc.

Molte delle lotte a guida precaria sono incentrate sul territorio, dove tali segmenti di classe hanno maggiori possibilità di organizzarsi4. È vero, come ha scritto Silvia Federici, che il capitale preferisce «la cooperazione al punto di produzione, e la separazione e l’atomizzazione al punto di riproduzione»5. Tuttavia, oltre alle singole unità abitative, ci sono siti di riproduzione collettivi come scuole, piazze, progetti di mutuo aiuto, centri culturali e sportivi. Questi punti di riproduzione possono fungere da infrastruttura, ma anche da oggetto, delle mobilitazioni incentrate sul territorio. Basta pensare a come una lotta per la difesa di uno spazio pubblico, il celebre Gezi Park, abbia innescato il movimento del 2013 contro la svolta autoritaria di Erdoğan. Il territorio è anche l’ambito in cui lavoratrici e lavoratori esperiscono più direttamente un interesse materiale a mettere un freno alla crisi ecologica, mossi dall’urgenza di godere di aria respirabile, acqua potabile, cibo sano e nutriente, spazi e tempi di contatto con l’ecologia non-umana, ecc. Tuttavia, per essere efficaci in un senso complessivo, le mobilitazioni per ecosistemi salubri devono saldarsi in qualche modo con i luoghi di lavoro. La sfida di generare una ricomposizione politica tra le lotte territoriali e quelle nei luoghi di lavoro è anche una sfida per la “convergenza” tra diverse forme organizzative. Questo non significa però fondersi e omogeneizzarsi. Piuttosto, è cooperazione dalla base tra organizzazioni diverse, mantenendo le specificità che permettono loro di funzionare efficacemente per i rispettivi segmenti di classe.

La lotta pluriennale del Collettivo di Fabbrica Gkn ci parla esattamente di questo. Di sperimentare un metodo dell’organizzazione politica in cui, alla tensione verticale delle rappresentanze dei lavoratori in assemblea permanente, si aggancia la pluralità – per formazione politica, provenienza geografica, strategia, pratiche – dei movimenti per la giustizia climatica. La “fabbrica pubblica socialmente integrata”, rivendicata dal movimento internazionale creatosi attorno alla fabbrica ex automotive di Campi Bisenzio, prefigura proprio quell’ecosistema di forme organizzative differenti, ma coabitanti e connesse, a cui Nunes fa riferimento. Dopo anni di tendenziale orizzontalismo, fuori dalla forma-partito, ambizioso negli obiettivi ma probabilmente troppo farraginoso e dispersivo, un collettivo di operai metalmeccanici ha rimesso al centro la lotta per la vita intera e ha chiesto a chi voleva supportarlo di sperimentare nuovi audaci assemblaggi: tra organizzazioni sorelle a rinsaldare storici legami, tra organizzazioni lontane a sottolineare nuove strade di possibilità, tra singoli che dopo anni hanno ritrovato lo slancio della militanza, tra operai di altre fabbriche, lavoratori della conoscenza e molti altri.

Sul fronte dell’immaginario, il sito fiorentino in lotta per la riconversione sostenibile sta radicando sempre di più l’idea che un altro modo di produrre è possibile e che il sapere di chi lavora è motore di cambiamento. Sul piano dell’organizzazione politica, invece, non si possono certo sbandierare nuove ricette miracolose, valide per qualsiasi contesto – “non chiederci la parola che squadra ogni lato”, sembra dire a spron battuto il Collettivo di Fabbrica, ché alla base di qualsiasi processo politico stanno responsabilità e abilità collettive. Certo è che tutti i dispositivi di gestione e di cura della vertenza Gkn – dall’assemblea permanente ai gruppi di raccordo, dal Gruppo Reindustrializzazione alle brigate di cucinieri fino alla direzione artistica degli eventi di finanziamento – parlano ai movimenti sociali di questa ricercata “convergenza” tra diversi e tra pari, tra istanze iper-specifiche e rivendicazioni di trasformazione radicale della realtà – tra gli scappati di casa, i neofiti, gli orfani dei partiti di massa e del sindacato conflittuale, i militanti di base e dei centri sociali, le grandi organizzazioni di ieri e le maree di oggi.

Sono ancora lontani i tempi necessari a stilare un bilancio dell’impatto del cosiddetto “metodo della convergenza” sui movimenti e sulle organizzazioni che in Italia hanno raccolto la sfida. Tuttavia, al netto di alcuni obiettivi ancora da raggiungere – uno su tutti la piena articolazione intersezionale della mobilitazione – rispetto ai movimenti per la giustizia climatica si può parlare di un punto di non ritorno. Qualsiasi ambiguità rispetto allo smantellamento del ricatto occupazionale e qualsiasi ritirata dal claim “fine del mese/fine del mondo stessa lotta” sono e saranno da ritenersi reazionari. Allo stesso modo, qualsiasi vertenza sul lavoro che eluda il vincolo ecologico nel redesign degli assetti produttivi non avrà più angoli dove ripararsi dall’accusa di “monetizzare la crisi climatica”.

La sfida della Gkn – che ha saputo travalicare i confini nazionali intercettando spazi di riflessione e messa in comune delle pratiche in molti altri paesi europei – non è però confinata alla sola dimensione “di movimento”, dell’associazionismo di base, delle comunità che si sono strette attorno alla fabbrica. Non è di secondaria importanza, infatti, la sfida lanciata all’organizzazione sindacale, della quale le lavoratrici e i lavoratori Gkn – storicamente affiliati alla Fiom-Cgil – incarnano valori e pratiche che, se recuperate e valorizzate a livello generale, porterebbero tanto giovamento al sindacato.

Copertina del primo numero di Teiko

© Andrea Sawyer

La creazione dell’Associazione di promozione sociale (Aps) Società operaia di mutuo soccorso (Soms) Insorgiamo, avvenuta poco dopo lo scoppio della vertenza, mette in luce la traiettoria del mutualismo abbracciata dall’organizzazione. La complessità dell’Aps Soms Insorgiamo, nata nell’autunno del 2022, la si evince sin dalla sua ragione sociale. Aps, perché per la normativa vigente del terzo settore si tratta della forma organizzativa che più si adatta alle attività dell’assemblea permanente. Soms, perché il portato storico delle società operaie di mutuo soccorso riecheggiasse ad ogni passo mosso dalla vertenza, cogliendo non soltanto gli aspetti più legati alla rivendicazione occupazionale e salariale, ma anche quelli del dopo-lavoro, della vita oltre il lavoro, da organizzare e valorizzare come momenti di autodeterminazione, relazioni sociali, divertimento, mutuo aiuto. E infine Insorgiamo, il motto della Resistenza fiorentina, adottato sin dall’inizio della lotta per sottolineare l’orizzonte ideale a cui le lavoratrici e i lavoratori guardano come fondativi. Dall’assemblea permanente, in sinergia con i gruppi di raccordo e con tutto il territorio insorto, nasce dunque un ulteriore strumento organizzativo, fondato su storiche pratiche del movimento operaio, sulla solidarietà di classe, sull’idea che il contributo attivo di tutte e tutti sia indispensabile per un territorio che vuole vivere dignitosamente. Non si possono già scorgere nelle trame del mutuo aiuto nuove forme di contrattazione territoriale accresciuta, capaci di riportare al centro del dibattito e della negoziazione con le controparti una visione della vita delle lavoratrici e dei lavoratori a tutto tondo, con il loro tempo libero e i loro occhi attenti sulla comunità e i suoi bisogni? Ancora, la pianificazione ecologica sviluppata in questi anni, non è forse la riscoperta e l’implementazione sistematica di quel “controllo operaio” che non si esaurisce nella sola partecipazione, ma in un contributo concreto nel ridisegnare quanto, cosa e come si produce?

Smantellare il circolo vizioso del publish or perish per rivendicare la pubblica utilità della ricerca; scavalcare la sedicente classe dirigente sul terreno delle politiche industriali (inconsistenti o, peggio, orientate alla conversione bellica); incarnare il diritto, portandolo a terra, fuori dal manuale, al servizio del progresso sociale: sono solo alcune delle sfide che il Collettivo di Fabbrica e la rete a supporto della vertenza hanno ingaggiato. Riepiloghiamo qui alcune articolazioni sviluppate dall’organizzazione della vertenza per resistere, avanzare, progettare.

Nell’autunno del 2021 si aggrega un Gruppo di Ricerca Solidale, composto da lavoratrici e lavoratori del mondo della ricerca, per lo più precari, che contribuiscono alla progettazione di un possibile nuovo corso sostenibile della fabbrica. Un’attivazione solidale del mondo accademico che presto si è evoluta nel Gruppo Reindustrializzazione, operante sempre al fianco del Collettivo di Fabbrica e arricchito con competenze e professionalità da svariati ambiti, tutti orientati allo sviluppo dei piani industriali per il sito fiorentino. La rigenerazione del significato del fare ricerca prodottasi in seno a queste articolazioni è notevole, per lunga durata e per capacità di elaborazione continua di strategie e implementazioni pratiche, affinché nel sito ex Gkn vedano la luce nuove produzioni socialmente utili. Infatti, i progetti di reindustrializzazione hanno incessantemente seguito le evoluzioni politiche della vertenza, delineando dapprima un piano per la riattivazione dello stabilimento che guardasse al futuro del settore automotive, vale a dire verso la produzione di componenti non più per l’auto privata e la mobilità individuale, bensì per le nuove flotte di autobus elettrici o a idrogeno verde del trasporto pubblico. Tuttavia, nessuna delle istituzioni pubbliche ha preso in considerazione la potenzialità di investire in un Polo pubblico per la mobilità sostenibile, dunque i lavoratori e il gruppo di ricerca hanno dovuto ripensare l’intero impianto. Ciò ha dato vita a un piano di rilancio della ex Gkn, definito come una “reindustrializzazione forzata”, incentrato sulla produzione di pannelli solari, sullo smantellamento di pannelli esausti in modo tale che le materie prime rientrassero nel ciclo produttivo di quelli nuovi, non ultimo le cargo-bike, come elemento di continuità con la riflessione sulla mobilità sostenibile.

Anche la scelta della cooperativa come assetto proprietario dell’auspicato rilancio è stata dettata dalla sinergia con le/i solidali, in particolare con la Rete italiana delle imprese recuperate che, con il suo gruppo di ricerca sociale, promuove la mappatura di tali esperienze e supporta il recupero cooperativistico d’impresa in Italia. La cooperativa Gkn for future (Gff) è stata creata nel luglio del 2023 con un capitale di partenza raccolto inizialmente attraverso un crowdfunding, poi con una campagna di oltre un anno, ancora attiva, di azionariato popolare. Decine di migliaia di persone e organizzazioni dalla Toscana agli Stati Uniti, dalla Germania alle Filippine, si sono assicurate un pacchetto azionario solidale. Alcune centinaia di azioniste/i si sono poi incontrati a ottobre 2024 in fabbrica per la prima assemblea internazionale, aperta dalla presenza e dalle parole di Greta Thunberg. L’infrastruttura alla base di questo processo è stata costruita attraverso la ricomposizione, fusione e rifunzionalizzazione di alcuni gruppi di lavoro già esistenti; dalle compagne e compagni impegnati sul fronte dei social media a coloro che si occupano delle grafiche e dei video, dal mondo della ricerca solidale che ha attivato le sue reti a quello dell’arte e della cultura che si è mosso sul medesimo terreno di relazioni e contatti. In breve, ogni assemblea, comizio, concerto, corteo, ogni trasferta funzionale alla reindustrializzazione, ogni conferenza dedicata a politiche industriali o alla transizione ecologica è stata utile a raccontare il progetto industriale e a raccogliere adesioni.

Fondamentale anche il gruppo delle giuriste e dei giuristi solidali. Anzi, i gruppi. Il primo si è speso nei mesi iniziali della vertenza per scrivere insieme agli operai una proposta di legge contro le delocalizzazioni industriali6. Come si è già detto per ciò che riguarda la reindustrializzazione, anche in questo caso le traiettorie del lavoro solidale sul fronte del diritto hanno seguito lo sviluppo della vertenza. Ecco perché nell’autunno del 2021 la priorità era provare a far sì che l’Italia si dotasse di norme adeguate a evitare che le grandi imprese multinazionali prosperassero nel nostro paese per poi fuggire senza dar conto a nessuno, lasciando dietro di sé disoccupazione, nocività, tessuto sociale disgregato. Nell’estate del 2024, quando la riflessione sul business plan costruito “dal basso” ha abbracciato l’ipotesi di poter garantire un futuro non solo alla Gkn, ma anche a molte altre imprese in difficoltà della piana fiorentina, si è iniziato a riflettere sulla possibilità di costituire un vero e proprio consorzio industriale. Sconfinare oltre la singola unità produttiva, ragionare in un’ottica di sistema, prefigurare di fatto la fabbrica pubblica socialmente integrata come nuovo ecosistema produttivo utile al benessere territoriale complessivo. In una parola, farsi classe dirigente. Detto fatto: un gruppo di giuriste/i solidali ha trascorso l’estate scorsa a scrivere, insieme al Collettivo di Fabbrica, una proposta di legge regionale per l’istituzione dei consorzi industriali7, un nuovo strumento di politiche industriali a beneficio dei lavoratori e le lavoratrici dell’intero tessuto produttivo toscano, le cui vulnerabilità sono in costante crescita8. Il 23 dicembre scorso, dopo un iter punteggiato di accelerazioni e risacche e una nottata intera di dibattito acceso, la suddetta proposta di legge è stata approvata dal Consiglio Regionale della Toscana. Neanche il tempo di celebrare questo successo che i gruppi di lavoro si sono rimessi all’opera per monitorare la concreta realizzazione del consorzio, chè non basterà la norma affinché si componga: serviranno ancora e di nuovo le energie, le competenze e le risorse di potere mobilitate finora dalle lavoratrici e dai lavoratori uniti con le/i solidali.

A prescindere dall’esito finale che avrà questa lotta, il Collettivo di Fabbrica ha fatto la storia, cambiando i termini del nodo classe-ecologia. Organizzare la convergenza, mantenendo la vertenza come perno di una mobilitazione complessiva per il cambiamento radicale dell’esistenza. Come recita l’ultimo documento prodotto da questo percorso: «Il riarmo è la negazione esplicita di qualsiasi obiettivo di transizione climatica: il settore militare e la guerra sono per definizione inquinamento. […] Per questo oggi il nostro piano economico è l’unico in campo. L’unico piano per preservare la vita». Quasi semplice da enunciare, complesso ed estenuante da perseguire. Come arrivare a ecologie organizzative di classe abbastanza solide da far fronte al regime di guerra è un tema tuttora aperto e, naturalmente, di non facile soluzione. Eppure, lavorare in tale direzione significa creare le condizioni per un’alternativa vincente contro il nostro presente di guerre e genocidi, disuguaglianze crescenti e devastazioni ecologiche.

Copertina del primo numero di Teiko

© Novaradio

Note

  1. L. Feltrin, Il piano verde del capitale: Crisi e direzioni alternative, «Globalproject.info», 2024

  2. L. Feltrin ed E. Leonardi, Dall’ambientalismo operaio alla giustizia climatica: La sfida della convergenza oggi, in Un piano per il futuro della fabbrica di Firenze: Dall’ex Gkn alla Fabbrica socialmente integrata, Quaderni Fondazione Feltrinelli, 46, pp. 99-112; E. Leonardi e P. Imperatore, L’era della giustizia climatica: Prospettive politiche per una transizione ecologica dal basso, Napoli-Salerno, Orthotes, 2023

  3. R. Nunes, Neither Vertical nor Horizontal: A Theory of Political Organization, London, Verso, 2021

  4. A. C. Dinerstein, The Politics of Autonomy in Latin America: The Art of Organising Hope, London,Palgrave Macmillan, 2015

  5. S. Federici, Revolution at Point Zero: Housework, Reproduction, and Feminist Struggle, Oakland (CA), PM Press, 2012, p. 146

  6. https://www.giuristidemocratici.it/2025/02/la-legge-della-regione-toscana-e-una-tappa-della-lotta-ex-gkn-per-opporsi-ai-licenziamenti-delle-delocalizzazioni/

  7. https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2024/12/21/ex-gkn-consiglio-toscana-vara-legge-su-consorzi-industriali_707b36c1-efa4-450a-b912-abb8ad3e9989.html

  8. Leonardo Ghezzi e Nicola Sciclone (a cura di), Fattori di vulnerabilità e velocità di crescita: Cosa accadrà all’economia toscana?, Firenze: Irpet